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MediaAmmontano a 11,4 milioni di euro le risorse stanziate da Regione Lombardia per la videosorveglianza nei parchi e nelle aree protette regionali. Agli 11,2 milioni già deliberati recentemente, si aggiungono altri 209.000 euro. Il provvedimento è contenuto in una delibera approvata della Giunta regionale su proposta dell’assessore alla Sicurezza, Immigrazione e Polizia locale, Romano La Russa.I fondi sono finalizzati all’installazione di impianti di videosorveglianza nei parchi comunali e nelle aree protette regionali.Il bando prevedeva il cofinanziamento di Regione Lombardia fino a 80.000 euro a copertura massima dell’80% del totale del progetto. Gli enti beneficiari del primo stanziamento di 11,2 milioni sono in tutto sono 235 e dovranno completare i lavori entro settembre 2023.Assessore La Russa: videosorveglianza per garantire sicurezza“La videosorveglianza nei parchi e nelle aree protette – ha dichiarato l’assessore regionale alla Sicurezza Romano La Russa – ci ha consentito di monitorare al meglio i luoghi e diminuire gli episodi delinquenziali. Parchi e aree protette devono essere un punto di riferimento per famiglie e amanti della natura. La bellezza di questi luoghi deve essere sempre più preservata. Per questo, pur non avendo competenza diretta in tema di sicurezza, siamo particolarmente sensibili verso questa importante tematica. E i 209.000 euro aggiuntivi stanziati, che si aggiungono agli 11,2 milioni, sono una naturale conseguenza dell’attenzione nei confronti dei cittadini”.Gli 11,2 milioni stanziati in precedenza sono suddivisi come segue:Ai Comuni in provincia di Bergamo 1.810.639,78 euro; Brescia 2.114.399,89; Como 793.658,69; Cremona 295.279,68; Lecco 390.414,29; Lodi 248.034,68; Mantova 1.033.976,89; Milano 2.081.412,10; Monza e Brianza 713.340,18; Pavia 542.537,39; Sondrio 176.272; Varese 983.400,11 euro.L'articolo Dalla Regione oltre 11 milioni per la videosorveglianza dei parchi proviene da Araberara.

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<a href="https://www.araberara.it/wp-content/uploads/2022/10/img198-scaled.jpg">Media</a><strong>Ramzan Kadyrov</strong>. Forse il nome al primo impatto non dice molto, ma se guardate la foto lo riconoscete subito. Il braccio destro e comunque il braccio armato di Vladimir Putin, promosso giusto pochi giorni fa dallo stesso Putin, Colonnello Generale, Capo della Repubblica Cecena dopo la sanguinosissima guerra degli anni scorsi, quello per intenderci che nei giorni scorsi ha mandato i suoi tre figli minorenni, 14, 15 e 17 anni a combattere in prima linea contro gli Ucraini. Chi lo conosce bene definisce a confronto Putin un moderato e questo la dice lunga su chi sia Kadyrov. Impossibile avvicinarlo. Quasi impossibile. Perché Giorgio Fornoni lo ha intervistato, e non via mail o telefono, ma direttamente nel suo blindatissimo palazzo, qualche anno fa, alla vigilia delle sanguinose morti che hanno riguardato anche giornalisti e oppositori, un racconto cruento e duro, abbiamo tagliato alcune parti e deciso di non pubblicare alcune foto. Un documento unico, come unico è questo reporter, Giorgio Fornoni, che sfida ogni volta la sorte e la morte con una capacità di dialogo incredibile. Lasciamo parlare lui<strong>Giorgio Fornoni</strong>Sei giornalisti della Novaja Gazeta sono stati uccisi…un tributo altissimo alla libertà di stampa,… e altri sono sfuggiti fortunatamente alla morte. Alcuni addirittura se ne sono dovuti andare all’estero perché le minacce ormai erano ad elevato rischio e troppo inquietanti. <strong>Anna Politkovskaja</strong> l’avevo incontrata nel 2003 raccogliendo una preziosissima intervista. Perse la vita nell’ottobre del 2006, uccisa con colpi di pistola davanti all’ascensore del palazzo dove abitava. Anche altri giornalisti della Novaja Gazeta, mi hanno rilasciato significative testimonianze…ma la più completa, quella che racconta la storia della Novaja Gazeta e dei sei giornalisti uccisi, me l’ha rilasciata pochi mesi fa invece il direttore del giornale <strong>Dimitri Muratov</strong>. Ovviamente avevo immagini preziose del periodo della guerra che era ancora in corso, essendo riuscito ad entrare a Grozny sotto il tiro dei cecchini, a bordo di un carro armato russo nel febbraio del 2000. Non molto tempo fa, 12 anni dopo, sono tornato a Grozny per raccogliere testimonianze di chi lavora a Memorial, in particolare per ricostruire i fatti di come è stata uccisa <strong>Natalia Estemirova</strong>, l’ultima dei sei giornalisti della Novaja Gazeta uccisi. Per rendere completo il mio lavoro, ritengo necessario incontrare il Presidente, l’uomo che tiene nel terrore tutta la zona del Caucaso. Non è facile ottenere le autorizzazioni. Però, ecco che nel luglio 2011, torno a Mosca convinto di riuscire stavolta, per intervistare <strong>Ramzan Kadyrov</strong> nominato Capo della Repubblica cecena direttamente da Putin. La Redazione di REPORT già da mesi ha mandato richiesta all’ufficio stampa di Mosca e di Grozny per essere autorizzato ad incontrare Kadyrov. Mi scrivono di presentarmi il giorno 21 a Mosca al Ministero per completare i documenti ed ottenere le necessarie autorizzazioni. Ovviamente chiamo subito Andrey ed in pochi giorni, con copia dei documenti della RAI e passaporto valido per due entrate, parto per la Russia.20 luglioPartenza da MILANO MALPENSA con volo ALITALIA/AEROFLOT…ed atterro a MOSCA alle ore 17 e 30 locali. Andrej…il mio carissimo amico e accompagnatore, è lì nel salone arrivi che mi aspetta puntuale come sempre.Cambio valuta in aeroporto e via per alloggiare come solito alla Guest House della Lituania. Deposito subito la valigia e l’attrezzatura video e poi subito al georgiano.21 luglioDi mattino presto, andiamo al Ministero a presentare i documenti per ottenere il MID…(richiesta RAI per interviste sia per Russia che per Cecenia, 3 fotografie formato tessera, copia tessera iscrizione Albo giornalisti, e compilazione altri documenti con  il sempre prezioso aiuto di Andrej).  Mi dicono di passare domattina che dovrebbe essere tutto pronto. Giornata…
MediaUna ‘via crucis’ che va avanti ininterrottamente da ormai otto anni: questa in estrema sintesi la vicenda che Serena Nodari sta tuttora vivendo e che, dopo alcune esitazioni, ha deciso di raccontarci, per aiutare le donne che come lei si trovano la vita stravolta dal tumore, per ribadire la necessità della prevenzione e della ricerca e per sollecitare le malate a non arrendersi mai, a continuare nonostante tutto, a godersi il bello che la vita può riservare a tutti noi:“Non dico a combattere il male, la nostra non è una guerra, noi il tumore lo possiamo e lo dobbiamo curare, quello presente e anche quello futuro, se verrà. Un passo per volta, per quanto sia faticoso il viaggio che, come il mio, è tutto su un sentiero in salita pieno di ostacoli, e non so mai cosa mi aspetta al passo successivo… Dopo tanti anni sono ancora qui, e vorrei incoraggiare chi a questo tunnel si è appena affacciato oppure lo sta percorrendo, vorrei dirgli che, pur pesantemente condizionata dalla malattia e dalle terapie, la vita e il presente non vanno mai sprecati”.Ricostruire con la precisione con cui ce le ha raccontate tutte le tappe della ‘via crucis’ di Serena richiederebbe ben altro spazio che questo, per cui è giocoforza tentarne una sintesi:“Di avere un nodulo al seno mi sono accorta nel maggio del 2014, quando avevo 45 anni, con la semplice palpazione. Non trovando spazio per una visita urgente dal senologo del SSN,  dal senologo ci andai subito in privato, e l’ecografia non mi lasciò dubbi, anche se in me, che le cose le sento istintivamente, c’era già la certezza di avere un cancro al seno. Era un carcinoma di notevoli dimensioni, anche perché ho un seno piuttosto ‘importante’, vicino ad uno dei capezzoli e dovevo decidere: o la chemioterapia o la mastectomia. Decisi per quest’ultima, al momento il mio aspetto estetico, che pure è importantissimo per una donna, passava in secondo piano rispetto all’esigenza di guarire. Dunque subii l’ intervento di mastectomia, con la previsione del successivo intervento di ricostruzione, che invece andò malissimo, forse anche perché il chirurgo plastico mi vide per la prima volta il giorno stesso dell’operazione… Mi salvarono il capezzolo, ma sopravvenne un’infezione e mi ritrovai con un capezzolo raggrinzito, la relativa cicatrice, e in più la cicatrice dell’operazione…”.Ad agosto Serena viene messa in lista per un altro intervento di ricostruzione: menopausa anticipata e un altro anno di assidui controlli, col dubbio che ‘l’imbottitura’ non basta a preparare lo spazio per la ricostruzione. Serena non si arrende, si reca da senologo milanese che già alla prima occhiata rileva qualcosa che non va, ma la rimanda a Bergamo dalla sua équipe oncologica per sentire anche il parere dei colleghi. Qui le propongono di aumentare le dimensioni dell’espansore che si è un po’ svuotato lasciandole il seno così avvizzito. Serena, non convinta, torna a Milano, dove scopre che l’espansore è forato. Ancora un anno di attesa e un altro intervento per sostituire l’espansore rotto:“Seguirono  altri due interventi,  e mi ritrovai  con un seno tutto asimmetrico, con una mammella molto più ‘alta’ dell’altra…SUL NUMERO IN EDICOLA DA VENERDI’ 21 OTTOBREL'articolo GANDINO – Serena, otto anni di ‘via crucis’: “Ormai credo di aver sperimentato tutti i tipi di dolore, un continuo saliscendi tra la speranza e la disperazione” proviene da Araberara.

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MediaRenata è lì, sul lungolago di Spinone in una giornata d’autunno fuori stagione, di quelle che il termometro dell’auto segna 25 gradi e il tepore del lago fa da guscio. Renata, di Vilminore, abita a Schilpario, Val di Scalve, e sta tornando da Treviglio, più di 90 km, che percorre da sola quando va per curare il suo tumore al seno.
45 anni, capelli lunghi, occhi azzurri che ti inchiodano e sorriso che fa il resto. Focaccia vegetariana “Devo stare attenta al cibo” e birra piccola “quando esco dall’ospedale prendo sempre una birra piccola”. Renata Carizzoni lavora a Schilpario in Comune, ha due figli, un marito, mille progetti e… un cancro al seno, ma quello può attendere: “Perché io ho un sacco di cose da fare, sai che quando mi hanno detto che avevo un tumore ho pensato ‘ma con tutte le cose che devo fare’”, sorride. Renata ordina la sua focaccia vegetariana, niente insaccati, niente carni rosse, dieta bilanciata: “Per forza, certo, la carne rossa mi manca, ma va beh…”.
Un passo indietro: “Mia mamma si chiamava Matilde, è morta di tumore al seno nel 2009, aveva 60 anni, non aveva mai fatto visite, per questo credo che la prevenzione sia fondamentale, io il mio tumore l’ho scoperto grazie alla prevenzione, altrimenti avrei fatto la fine di mia madre. E’ morta dopo due anni di sofferenza, era troppo tardi, era già troppo esteso. Io ho scoperto di essere ammalata il 29 gennaio di quest’anno, ho fatto la solita mammografia ed ecografia che faccio ogni anno, come le mie sorelle del resto, da quando si è ammalata mia mamma e si sono accorti che qualcosa non andava. Mi hanno detto che nel giro di un anno il mio seno si era stravolto, non mi ero accorta di niente, non sentivo niente”.
Renata racconta e guarda verso il lago: “Il 2022 doveva essere per me un anno importante, un anno di grandi progetti, sto facendo la casa, e poi a livello lavorativo avevo in mente tante cose… e invece. Però dai, la casa la sto facendo lo stesso, per il resto aspetterò. Ho sempre desiderato una casa mia, vivo con mio marito e i miei due figli a Schilpario, ma non siamo soli, volevo una casa tutta nostra”…
SUL NUMERO IN EDICOLA DA VENERDI’ 21 OTTOBREL'articolo VAL DI SCALVE – Renata: “Quando ho ritirato l’istologico mi sono seduta lì davanti alla porta dell’ambulatorio, ho rivissuto quello che anni prima avevo vissuto con la mia mamma…” proviene da Araberara.

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Media77 anni da compiere tra due mesi, Carmelina Sala, da tutti conosciuta come Lena, racconta la sua lotta contro il tumore al seno con il sorriso, “sono ancora qui dopo tutto questi anni, ce l’ho fatta e sto bene”. Originaria di Villa d’Ogna, ma rovettese d’adozione da più di cinquant’anni.Riavvolgiamo il nastro della sua vita, torniamo ai suoi 32 anni e alla diagnosi che è stata come una doccia fredda: “In quel periodo ero all’estero, in Africa, un giorno mentre tenevo in braccio il mio secondo figlio ho sentito un dolore al seno. Ho deciso di andare dal medico, che subito mi ha fatta rientrare in Italia per fare un controllo; il chirurgo che mi ha visitata mi ha detto che potevo stare tranquilla, con una cura di vitamine avrei risolto tutto. Ma non è stato così. Il dolore continuava ad essere insistente e poi è arrivato fino al braccio… sono tornata in ospedale e mi hanno diagnosticato il tumore al seno. Sono stata operata al Maggiore di Bergamo, prima mi hanno fatto una mastectomia e poi per sicurezza hanno tolto tutto nonostante fosse negativo.,SUL NUMERO IN EDICOLA DA VENERDI’ 21 OTTOBREL'articolo ROVETTA – VILLA D’OGNA – Lena e il tumore al seno: “Avevo 32 anni, ho sentito un dolore mentre tenevo in braccio il mio bambino…” proviene da Araberara.

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<a href="https://www.araberara.it/wp-content/uploads/2021/11/colere-impianti2.jpg">Media</a>Un rimpallo di responsabilità sui ritardi burocratici che minacciano di non far aprire in tempo gli impianti di Colere per l’inizio della stagione invernale. E sarebbe un danno economico enorme, come sottolinea la società che ha in pancia un investimento altrettanto enorme e di questi tempi addirittura eccezionale, intorno ai 30 milioni di euro per un rilancio che non si limiterebbe a un restyling, ma a nuovi collegamenti per creare un vero e proprio comprensorio sciistico con Lizzola (e anche un ventilato collegamento da Teveno e Polzone). Oltre alle piste ci sono lassù in alto tre strutture di accoglienza che resterebbero ferme, se non si procede in fretta all’installazione della nuova cabinovia Carbonera-Polzone. Di chi è la colpa dei ritardi, di chi sarebbe la colpa se saltasse questa stagione sciistica? L’investitore privato (RSI) è abituato a tempi brevi, si prende una decisione e la si applica se non il giorno dopo, in un mese al massimo. Oggi si va di fretta, certe opportunità o si colgono o si perdono, i mercati sono impietosi, le situazioni finanziarie cambiano di giorno in giorno, basta dare un’occhiata al mercato azionario, come scrisse Lorenz “<i>un battito di ali di una farfalla in Brasile può provocare un tornado in Texas”,</i> l’effetto della guerra di Putin all’Ucraina ha conseguenze pesanti sulla nostra economia famigliare. Fatto sta che se il termine ultimo della “conferenza dei servizi” è il 6 dicembre, è passato quasi un anno da quando <b>Massimiliano Belingheri</b> ha illustrato a Colere il suo progetto. Se non è ancora stato nominato il “direttore dei lavori” (e questo, scrivono gli imprenditori privati, è solo in carico al Comune di Colere) non si può installare la cabinovia (e a occhio non la si potrà poi installare in un giorno). Qui il sindaco <b>Gabriele Bettineschi</b> ha scaricato la responsabilità dei ritardi sulla società, mancherebbe il “quadro economico”. RSI risponde per le rime, se mancasse non ci sarebbe stata assegnazione di gara e conseguente project financing. Siccome questo botta e risposta deriva dal nostro articolo del 7 ottobre (il nostro giornale ha evidenziato da mesi come i ritardi burocratici stiano frenando il progetto di investimento) crediamo sia positivo il fatto che si mettano le carte in tavola, in assemblea a Colere evidentemente non erano stati chiariti i punti essenziali che provocano i ritardi. <i>“Fosse stato un imprenditore forestiero se ne sarebbe già andato”,</i> è il commento più ricorrente. Il nostro giornale è stato coinvolto per aver scritto che mancavano (su 12 enti chiamati in causa: e questa resta un’anomalia) tre pareri, quello della Sovrintendenza che si sa ha tempi biblici, ma soprattutto quello del Comune di Colere e della Comunità Montana. Quello di Colere era arrivato (positivo ovviamente, ci mancherebbe) il 27 settembre, protocollato il 28, dopo che due giorni prima, in assemblea, era stata evidenziata ancora la mancanza di questo parere. Comunque un parere arrivato con un ritardo di mesi (il primo parere positivo è arrivato appunto mesi fa dal Comune di Vilminore). Manca ancora, oltre quello della Sovrintendenza, quello della Comunità Montana. Che sarà quello riassuntivo di tutti i pareri finora raccolti. Gli errori ci sono stati, basterebbe ammettere che, di fronte a un progetto così importante, non si era attrezzati per affrontare i problemi, predisporre i complessi bandi di gara ecc. Tra l’altro l’ufficio tecnico in Comunità Montana è impegnato a tempo pieno su questi passaggi burocratici. A posteriori è ragionevole rilevare come fosse opportuno affidare il tutto a studi attrezzati per queste incombenze? Ma del senno di poi sono piene le fosse. Ma a volte ammettere gli errori è più costruttivo che negarli…SUL NUMERO IN EDICOLA DA VENERDI’ 21 OTTOBREL'articolo <a href="https://www.araberara.it/colere-botta-e-risposta-il-sindaco-ritardi-di-rsi-sul-quadro-economico-la-societa-non-e-vero-nomini-il-direttore
Media“Dopo tutti questi anni, praticamente una vita, trascorsi all’estero, continuo a pensare che Parre è il più bel paese del mondo! Ogni volta che chiudevo le lettere che scrivevo a mia sorella Gina, non so cos’avrei dato per potermi infilare anch’io nella busta e così tornare in Italia, tornare a casa…”.Adele Cominelli, classe 1942, tornata in Italia a trovare la sorella, ancora si commuove al ricordo di quando, quindicenne, insieme alle sue sorelle, i suoi fratelli e i genitori, Pierina e Giovanni Cominelli, del casato dei Dosséi,  ‘il paese più bello del mondo’ dovette lasciarlo, all’alba di un mattino di giugno del 1957. Dalla casa dov’erano nati e vissuti fino ad allora, la cascina ‘I piane’ sul Monte Alino, scesero tutti a Parre sotto per salire sul camioncino del ‘Ceserone’, uno dei pochi automezzi che c’erano allora in paese. La maggiore delle sorelle, Gina, classe 1935, era rimasta a Parre perché si era sposata da poco, e dal momento che la partenza era stata anticipata rispetto al previsto, non aveva nemmeno fatto in tempo a salutare la sua famiglia che partiva per l’Argentina, dove sperava di far fortuna, com’era anche nei desideri di uno zio, Padre Giuseppe Cominelli, missionario salesiano in Argentina, appunto, che aveva proposto ed organizzato la loro emigrazione:“Ora siamo rimasti in sette, ma quando partimmo noi figli eravamo in dieci, Maria, Andrea, Romano, io, Lucia, Elisa, Savina, Dario, Giampiera e la piccola Emanuela che aveva solo un anno e mezzo. A Ponte Nossa prendemmo il treno fino a Bergamo, e poi da lì raggiungemmo Genova, dove ci fermammo due giorni in attesa di imbarcarci. Come passammo quei due giorni nel porto te lo lascio immaginare, non pernottammo certo in un albergo e mangiammo quel poco che eravamo riusciti a portarci appresso, ma finalmente salimmo sulla nave. Ricordo lo sgomento grande che mi colse al momento di lasciare la terra ferma, la paura che mi metteva tutta quell’acqua e il pensiero di cosa avremmo trovato al nostro arrivo: non ne avevamo la minima idea, sapevamo solo che anche laggiù, in Argentina, avremmo continuato ad allevare mucche e a coltivare la terra, più fertile e più ricca – ci avevano detto – di quella nostra di montagna…”.Il viaggio in nave dura 20 giorni:“La nave era strapiena di emigranti come noi, quando si mangiava occupavamo tutta intera una grande tavola e infatti ci prendevano in giro e ci chiamavano ‘la famiglia reale’. Però il cibo, grazie a Dio, non mancava, anche se non era certo di grande qualità. Sbarcati a Buenos Aires l’8 di luglio, per arrivare a destinazione – Juan Pradere, nella colonia La Graciéla, che poi scoprimmo non essere altro che una contradina di 4/5 case sparse nel nulla – ci rimanevano da percorrere altri 800 kilometri in treno, e già quello mi fece una pessima impressione: vecchio e malandato come la ferrovia su cui viaggiava, non facevamo che sobbalzare continuamente, sembrava che avesse le ruote quadrate, come osservò mio fratello Andrea. Le altre cose che mi impressionarono da subito negativamente erano il forte vento che tirava in continuazione; il freddo pungente, perché lì era novembre, mentre noi avevamo addosso solo indumenti  estivi, e tutta quella terra pianeggiante, tanta pianura, pianura a perdita d’occhio, nemmeno una collinetta a rompere quell’orizzonte piatto che ci faceva sentire sperduti e disorientati…”….SUL NUMERO IN EDICOLA DA VENERDI’ 21 OTTOBREL'articolo PARRE – LA STORIA – Quando i migranti eravamo noi: “Siamo partiti in 10 fratelli per l’Argentina. Pensavamo di ritornare ma alla fine pensavo solo a tornare” proviene da Araberara.

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MediaPassano le settimane, passano i mesi, tutto sembra cambiare nel mondo (a volte in positivo, ultimamente in negativo…) ma c’è qualcosa che resta immutabile (o quasi…): la Statale 42 della Val Cavallina. E se poi ci concentriamo su quella che veniva da molti definita la ‘panacea di tutti i mali’, cioè l’attesissima variante di Trescore, qui assistiamo ad un totale immobilismo.Eppure non stiamo parlando di una piccola strada battuta da pochi autoveicoli al giorno… No, da questa che è l’unica arteria della Val Cavallina transitano ogni giorno migliaia di automobili, camion, pullman, moto. Eppure, dopo lunghi decenni di discussioni e arrabbiature (da parte degli automobilisti), nulla sembra cambiare, anche quando, come nel caso della variante in questione, tutto sembrava filare liscio. I soldi erano stati stanziati e mancava solo il progetto. Già, ma di quel progetto non si vede ancora l’ombra.Facciamo il punto della situazione con uno che alla Statale 42 ha dedicato (e sta dedicando) buona parte del suo tempo (e della sua pazienza), Massimiliano Russo del Comitato Statale 42 Val Cavallina.Massimiliano, quando parliamo con qualche sindaco della variante di Trescore, ci viene risposto che “sta per arrivare” o che “arriverà fra un paio di mesi”. Poi però i mesi, anzi i semestri, passano e il famoso progetto non si vede. Eppure di tempo a disposizione non ce n’è tantissimo, dato che l’opera deve essere conclusa prima delle Olimpiadi del 2026!“Cosa vuoi che ti dica? Se cercavi da me un aggiornamento – sorride – ti devo dire che di aggiornamenti non ne ho. Tutto tace. Eppure… SUL NUMERO IN EDICOLA DA VENERDI’ 21 OTTOBREL'articolo SS42 VAL CAVALLINA – Variante di Trescore, immobilismo e silenzi sul progetto che tarda ad arrivare: “Tutto tace. Per la rotonda prevista a Trescore nulla si muove…” proviene da Araberara.

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MediaQuella dell’Azienda Agricola Ronchello è un’avventura iniziata ormai una ventina di anni fa, quando Gianfranco Risi, milanese, affezionato frequentatore dell’Alta Valseriana dove trascorreva con la famiglia le vacanze fin dal 1983, decise di dar vita ad un progetto agricolo: “Papà aveva capito le potenzialità della zona dei Tezzi Bassi di Gandellino e voleva  valorizzarne il territorio – dice il figlio Andreae così cominciò a produrre miele artigianale pregiato con l’aiuto indispensabile della moglie, Maria Luisa De Stefano la quale, appassionata di erbe officinali, condivideva in toto il suo amore per la natura e per il mondo meraviglioso delle api, che sono insetti di straordinaria generosità”. Andrea si aggiunge ben preso ai genitori, senza rimpiangere una carriera di architetto già ben avviata: dapprima dà una mano in azienda a livello di hobby, ma poi decide di lasciare il suo studio milanese e di partecipare a tempo pieno alla nuova impresa: “Decisi di ritornare alla terra e di investire tutto nell’azienda agricola, che mi permette di esprimere al meglio e di sviluppare ulteriormente la mia passione per le api e di vivere e lavorare a contatto con la natura”. Naturalmente il suo impegno totalizzante nella produzione di miele comporta anche difficoltà e problemi, ma Andrea non demorde:  la sua attività, che è perfettamente inserita nel contesto ambientale e sempre aperta ai visitatori che possono rendersi conto di persona del lavoro e seguirne le varie fasi, è diventata un volano anche per il turismo: “Mi sono inventato anche alcune iniziative promozionali originali, come l’invito ad ‘adottare’ un’arnia: chi lo fa riceve un apposito attestato, viene spesso a trovarci portandosi al seguito parenti ed amici i quali non solo fanno acquisti ma trovano poi ospitalità nei ristoranti e negli alberghi della zona, creando una ‘rete’ di rapporti che funziona e che senz’altro valorizza il territorio, scopo questo affatto secondario della nostra attività. I visitatori e i clienti si affezionano a questi luoghi perché ci trovano quello che cercano, soprattutto semplicità ed autenticità, oltre ad una gamma di prodotti che via via si è andata ampliando e specializzando”….SUL NUMERO IN EDICOLA DA VENERDI’ 21 OTTOBREL'articolo GANDELLINO – Ai Tezzi un’azienda agricola creata da Andrea e mamma Maria Luisa, produce da 20 anni miele, tra caramelle, liquori, creme, confezioni tutto a base di miele proviene da Araberara.

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Media(Rosario Foresti) Te ne sei andato d’improvviso una notte d’autunno, così come quando, spinte dal vento e dall’avanzar della stagione, cadono le foglie senza nessun rumore; te ne sei andato nel pieno della tua gioventù, dei tuoi sogni di vita e della spensieratezza della tua età. Te ne sei andato lasciandoci nello sgomento e nella dura consapevolezza che la vita di ciascuno di noi è appesa ad un filo, un filo che a volte si rompe lasciando chi resta nella disperazione.
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Una vita spezzata in una notte d’autunno
(Maria Foresti) Sabato 8 ottobre, quando mi è stato riferito che due miei carissimi ex alunni avevano avuto un incidente in moto tra Predore e Tavernola e che uno di questi, Elia Martinelli di 23 anni era morto, mi sono immedesimata nei genitori, nel dolore sordo, nero ed insopportabile che li ha colpiti.
SUL NUMERO IN EDICOLA DAL 21 OTTOBREL'articolo TAVERNOLA – Il ricordo di Elia Martinelli proviene da Araberara.

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MediaÈ un martedì di metà ottobre, sono passati pochi minuti dalle 10, il clima sembra quasi… primaverile e per strada catturiamo il discorso di due signore che camminano fianco a fianco sul marciapiede: “Per fortuna non fa freddo perchè con questi aumenti non so dove andremo a finire”. Già, la grande preoccupazione per i costi schizzati alle stelle di elettricità e gas non risparmia proprio nessuno. Via Fantoni è un via vai di auto e i negozi hanno già alzato le serrande da qualche ora. Abbiamo deciso di fare un viaggio tra i commercianti per catturare emozioni e paure di questo momento di incertezza. Partiamo da Arte Cornice, Mauro è impegnato dietro il bancone, gli chiediamo come stanno vivendo questo periodo.“Noi non abbiamo costi esagerati, perché non consumiamo tantissimo, se da 100 euro si passa a 200 ci sta, se da 100 si passa a 1000 allora è un altro discorso. Vedremo da dicembre quando subentrerà un nuovo operatore. Abbiamo due macchine, una che taglia le cornici e una piegatrice, ma che non vanno sempre e comunque non consumano molto. E poi c’è l’illuminazione”.“Per fortuna – aggiunge Emilianonon sono cifre importanti come invece abbiamo sentito per altri negozi qui vicino. Sono spese in più, è vero, però per il momento la situazione è gestibile”.Una delle attività che invece ha ricevuto una vera e propria stangata è Parigi Market. Stefano ci accoglie con il sorriso appena riattacca il telefono. Un sorriso che si spegne non appena inizia a parlare della batosta ricevuta: “Sono estremamente preoccupato e questi aumenti incidono mostruosamente sulla mia attività, io sono titolare di tre negozi, oltre a questo infatti ci sono quelli di Piario e Ponte Nossa. Io ho due anime, quella della casa privata e quella commerciale. Per casa avevo un contratto a prezzo concordato per due anni, ma ad aprile mi hanno detto che dal 1° ottobre sarebbero stati disdettati tutti i contratti per la guerra, perché le materie prime non più sostenibili e via dicendo. Non volevo aspettare l’ultimo momento e quindi da settembre ho deciso di cambiare, ma non so come andrà. Per quanto riguarda il commerciale, avevo una formula di rinnovo annuale in cui la mia catena ‘Maxì’ contrattava per tutto il gruppo con un operatore e tutti gli anni contrattavano il prezzo….SUL NUMERO IN EDICOLA DA VENERDI’ 21 OTTOBREL'articolo ROVETTA – Tra i commercianti: Parigi Market, da 9 mila a 31 mila di bolletta, gelateria Sottozero “Noi cinque volte di più…”, “Io chiudo se va avanti così…” proviene da Araberara.

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MediaRiapre Palazzo Bazzini con visita “teatralizzata”
Una passeggiata sulle scale della Torre Civica, attraversando il centro medioevale e quello rinascimentale fino alla Basilica di Valvendra, concludendo la visita in uno dei palazzi più antichi di Lovere. Domenica 23 ottobre alle ore 15.00, dopo il ritrovo in Piazza dei XIII Martiri, sarà possibile partecipare ad una visita guidata all’interno delle sale storiche di Palazzo Bazzini, antico palazzo fortezza il cui primissimo impianto risale alla fine del Cinquecento. I lavori, che hanno cambiato nel corso del tempo l’aspetto e le dimensioni del palazzo, si sono susseguiti fino agli anni ’90, quando sono state restaurate numerose sale tra cui la famosa “Sala degli Egizi”, decorata con motivi stile impero…
SUL NUMERO NI EDICOLA DA VENERDI’ 21 OTTOBREL'articolo LOVERE – DOMENICA 23 OTTOBRE VISITA GUIDATA Riapre Palazzo Bazzini con visita “teatralizzata” proviene da Araberara.

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MediaSiamo in guerra, per fortuna ancora non fisicamente con le armi, i bombardamenti e i morti, come in Ucraina a 1800 km da noi, ma abbiamo molte delle conseguenze che un conflitto può produrre: inflazione a quasi due cifre, paura e questa brutta sensazione di sentire la nostra esistenza sospesa, in bilico. In seguito a questi anni terribili con il Covid ed ora con la guerra, è scoppiata la rabbia sociale di molte persone anche verso le istituzioni, dalle quali non si sentono più rappresentate. Si è consumato il dramma della piccola borghesia, dei piccoli commercianti, persone che col loro lavoro e tanti sacrifici erano riuscite a raggiungere una certa sicurezza economica e sociale, e che ora sono in difficoltà: alcuni sono costretti a chiudere perché le perdite superano le entrate.Abbiamo deciso di fare un viaggio ad Albino per sentire alcuni commercianti. Abbiamo perciò incontrato Alessio Rocchetti del Rocky Bar (storico locale di Albino Alta), la signora Nelly (che ha un negozio di fiori), Anna (che fa la parrucchiera), la signora Maria (che ha un bar sul provinciale all’inizio di Via Sant’Anna e che dopo 18 anni ha deciso di vendere) e Roberto Squinzi (che ha aperto una cartoleria in via Aldo Moro).Partiamo da Alessio Rocchetti, titolare del Rocky Bar: “Con il Covid è mancato il fatturato perché eravamo chiusi. Ma adesso che siamo aperti abbiamo da due mesi il problema dell’inflazione. Negli ultimi mesi la bolletta dell’energia elettrica è aumentata di 5 volte, ma sono aumentati anche i costi delle materie prime: la birra, il caffè, le brioches. È una situazione difficile e adesso aspettiamo la prossima bolletta. Purtroppo, anche se aumentano i costi io non posso aumentare più di tanto i prezzi e far pagare il caffè 3 euro. Ho saputo che alcuni ristoranti alla fine del conto aggiungono 3 euro per gli aumenti delle bollette. Purtroppo aiuti non ce ne sono e speriamo che non finiscano i soldi. Vogliono eliminare la classe media, che è quella che manda avanti l’Italia. Arrivederci alla prossima puntata grazie al nostro Stato”.Nelly del negozio ‘I fiori di Palazzi’ in via Mazzini commenta: “Da 52 anni abbiamo un negozio di fiori a Leffe e siamo presenti ad Albino da 4 anni. Dopo il Covid la gente aveva voglia di uscire, comprare fiori, spendere e siamo andati abbastanza bene. Ma in questi ultimi due mesi è aumentato tutto. Tanti grandi coltivatori, anche in Olanda, stanno chiudendo per l’elevato costo del gas per scaldare le serre e per l’alto costo dei trasporti. Sono aumentati i costi della ceramica, la carta, i nastri e il fiore reciso del 15-20 %. Per l’aumento dell’inflazione lo Stato non ci ha dato degli aiuti e per risparmiare spegniamo le luci delle nostre vetrine alle 9 di sera”.Ecco cosa racconta la signora Maria del ‘Bar Tabacchi Franco e Maria’…SUL NUMERO IN EDICOLA DA VENERDI’ 21 OTTOBREL'articolo ALBINO – LA CRISI DEL COMMERCIO – Viaggio tra i commercianti albinesi, rabbia e preoccupazione per il forte aumento di bollette e materie prime proviene da Araberara.

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<a href="https://www.araberara.it/wp-content/uploads/2022/10/marcia.jpg">Media</a>Mimmo Franzinelli
Il Comando di Perugia e le colonne impantanate Perugia, sede del quadrumvirato, la notte del 27 ottobre passa sotto controllo squadrista.
Le vie della città sono percorse, a mo’ di ronda, da due vetture delle squadre d’azione «Disperatissima» e «Satana», che sul retro della vettura hanno installato una mitragliatrice.
Con infelice tempismo, si celebra alla Corte d’Assise un processo per costituzione di bande armate, che ha come imputati non già i fascisti, bensì un centinaio di «sovversivi» accusati di complicità con il «Comitato esecutivo internazionale comunista di Milano», e imputati di «partecipazione a bande armate per far insorgere i cittadini contro i poteri dello Stato».
A ricordare il clima politico, sono presenti in aula, con atteggiamento minaccioso, gruppi di squadristi, che intimidiscono gli avvocati difensori e i testimoni.
Intanto dal quartier generale all’Hotel Brufani (ubicato di fronte al palazzo della prefettura), sabato 28 ottobre il «Comandante generale» Balbo dirama ai responsabili delle colonne armate una quantità di messaggi, su foglietti recapitati da elementi fidati, che si spostano su motociclette, avventurandosi su strade fangose e insicure.
Raccomanda al gen. Umberto Zamboni di rastrellare fucili nelle caserme, d’intesa con gli ufficiali: «Gli avvenimenti precipitano: la S.V. con treni e camions, immediatamente si porti, con il maggior numero di uomini possibile, a Terni, e s’impadronisca della fabbrica d’armi».
Tuttavia, nella notte dal 28 al 29 Zamboni non ha ancora eseguito l’ordine, che gli viene pertanto reiterato.
Il Quadrumvirato patisce il blocco della circolazione ferroviaria, disposto congiuntamente allo Stato d’assedio. Balbo mobilita i Gruppi ferrovieri fascisti di Firenze e Arezzo, affinché a Chiusi provvedano «immediatamente al ripristino della linea prima dell’arrivo dei treni con gli squadristi dell’Emilia e del Cremonese».
Altro sbarramento della linea (mediante sbullonamento e asportazione dei binari) avviene il 28 nei pressi della stazione di Civitavecchia: sospesi arrivi e partenze con Ancona, Pisa e Firenze, restano in funzione le linee per il Meridione (Sulmona e Napoli).
A Civitavecchia, tradizionale baluardo delle sinistre, «regna viva apprensione; i negozi sono chiusi e la vita paralizzata, essendosi gli operai astenuti dal lavoro» per protesta antifascista.
Quel giorno, vengono bloccati due convogli con duemila squadristi toscani, che ripartono a piedi verso S. Marinella, distante una decina di chilometri: per la capitale, ne mancano ancora una sessantina (nella sosta a S. Marinella, le colonne fasciste occupano Castello Odescalchi e un paio di alberghi).
Siccome gli eventi smentiscono le previsioni, la notte dal 28 al 29 ottobre partono dal quadrumvirato ordini urgenti con richieste di soccorso.
Si chiede ad es. a Farinacci di marciare all’istante da Cremona su Foligno. Ma l’appello rimane senza esito e ancora il 30 ottobre si invocano rinforzi… I ritardi nell’afflusso degli squadristi sono aggravati dal blocco ferroviario a Orte (di qui, la beffarda battuta «O Roma, o Orte!»).
A Monterotondo, altro obiettivo strategico da cui muovere alla volta della capitale, le camicie nere sono poche e prive addirittura del loro comandante, il gen. Fara, che le raggiungerà nel pomeriggio del 29.
Come ciò non bastasse, sulle colonne scendono raffiche di pioggia, col freddo del primo autunno.
Realtà periferiche (ad es. Udine) conseguono gli obiettivi prefissi, ma non riescono a informarne Perugia, per dissesti tecnici.
I piani prestabiliti, saltano. Al mattino del 29 ottobre, De Bono invia un messaggio al magg. Teruzzi, ispettore generale della 5a zona, non ancora partito con i suoi uomini «per i luoghi di concentramento»: viene sollecitato a rispettare i programmi, «tanto più che per ora pare che il generale Fara non abbia potuto raggiungere Monterotondo». La tabella di marcia di Teruzzi – reduce di guerra e veterano della lotta «antisovversiva»…
MediaIl dubbio che ogni tanto qualcuno si pone, quando in un determinato paese volano multe a destra e a manca, è se queste servano a garantire il rispetto del Codice della Strada e la sicurezza di automobilisti e pedoni, o se il vero e occulto intento è di rimpinguare le casse comunali.Da molto tempo a questa parte ci sono polemiche nelle strade, sui social e nei bar di Alzano Lombardo che hanno al centro l’impianto semaforico di Alzano Sopra (avevamo già trattato l’argomento nell’articolo “La multa e l’odissea di una commerciante” (Araberara del 9 settembre 2022).Si tratta di un semaforo lungo la vecchia strada Provinciale che conduce alla zona dell’Ospedale e a Nese, e che si trova nei pressi della chiesa parrocchiale di Alzano Sopra e alla scuola dell’infanzia. Questo è un incrocio molto trafficato, con migliaia di automobili, moto, bici e camion che passano oggi giorno.Che problema ha questo semaforo dotato di telecamera? Stando alle testimonianze di molti cittadini, sarebbe una sorta di ‘macchina mangiasoldi’ perché è molto facile prendere multe. Certo… se uno si ferma allo stop e attende pazientemente che dal rosso si passi al verde, non rischia di essere multato (e questa è l’obiezione che viene sempre sollevata da amministratori comunali e vigili). Però molti sostengono di essere stati multati per essere passati non col rosso ma col giallo. O, addirittura, sostengono di aver preso la multa solo perché, fermandosi allo stop, la parte anteriore del veicolo era leggerissimamente oltre la linea.In un momento in cui i nervi di tutti sono tesissimi e la gente ha a che fare con i rincari delle bollette, del pellet, della legna e di tanti altri prodotti, vedersi arrivare una multa da pagare per qualcosa del genere rischia di farli veramente saltare i nervi, perché molti vedono la multa in questione una sorta di ‘tassa occulta’ che viene fatta pagare per riempire le casse comunali. E così, capita di leggere commenti di questo genere: “Trovo questi semafori accumulatori seriali di soldi”, “Questi semafori con telecamere non fanno altro che attingere nella maggior parte dei casi dalle tasche dei cittadini del paese costretti a passare da quell’incrocio più volte al giorno magari per recarsi al lavoro”, “A noi la multa è arrivata perché eravamo fermi ma appena oltre la riga bianca con la parte anteriore della macchina…”. Un ex consigliere e assessore comunale di un altro paese della Bassa Valle ha commentato con durezza: “Resta comunque una macchina mangiasoldi, come quella al semaforo dopo il Conad a Torre Boldone… basta vedere gli incassi; con la scusa della sicurezza si mettono le mani in tasca ai cittadini e gli si portano via i soldi…”. Parole sferzanti, che tra l’altro vengono da uno che ben conosce la macchina amministrativa e che vengono condivise da tantissimi cittadini…SUL NUMERO IN EDICOLA DA VENERDI’ 21 OTTOBREL'articolo ALZANO LOMBARDO – Il semaforo di Alzano Sopra, la pioggia di multe e le polemiche proviene da Araberara.

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Media“Provi a mettersi qui di fronte per un’oretta e controlli quante persone entrano nel mio negozio, ma anche quanta gente passa per strada… ne conterà ben poche. Casazza e, in generale, la Val Cavallina, sembra che si siano addormentate…”.
A parlare è una commerciante di Casazza, il cui negozio si affaccia sulla Statale 42, in quel tratto di strada che va dal supermercato Migross al semaforo. La negoziante vuole restare anonima (“perché a nessuno interessa quello che penso e che dico…”) ma, in effetti, ha ragione. Nell’arco di mezz’ora (un’ora era un po’ troppo… e dovevamo fare il giro del paese…) nel suo negozio non è entrato nessuno e di persone per strada ne sono passate ben poche. In questa mattina di ottobre anche il traffico sembra un po’… addormentato. Di auto nella solitamente trafficata Statale 42 non ne passano molte e nemmeno di camion.
“È così – sottolinea la negoziante casazzese – ci ho fatto caso di recente… dove sono le persone? Dove sono le auto? Sembra che tutti ci stiamo adeguando a questo clima di pessimismo cronico degli ultimi mesi. La guerra, le bollette, l’inflazione, la crisi economica ci stanno spaventando a tal punto che preferiamo starcene fermi, rintanati nelle nostre case. Ma, così facendo, le cose non possono che peggiorare… E poi ci mancava solo la chiusura del panificio qui vicino, che attirava sempre un bel po’ di gente…”.
Passiamo in un altro negozio, sempre nella stessa zona. Qui si vendono fiori… SUL NUMERO IN EDICOLA DA VENERDI’ 21 OTTOBRE
PIARIOL'articolo CASAZZA – Bollette e pessimismo, il commercio va al… passo del gambero: “Siamo tutti in braghe di tela…”. Viaggio tra i commercianti di Casazza: il macellaio e il barbiere, il negozio di alimentari e il barista, l’edicolante e la fiorista proviene da Araberara.

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MediaUltimata anche  la realizzazione della segnaletica orizzontale sulla tanto attesa  ‘tangenziale’ che permetterà di bypassare la strada che attraversa l’abitato, sembra slittare ancora l’apertura della nuova strada al traffico quotidiano. “Non vediamo l’ora di farlo, e di inaugurarla ufficialmente, perché il percorso burocratico che toccava a noi si è concluso da un pezzo – dice il sindaco Pietro Visini – . Ci resta solo da stendere la delibera del Consiglio che renderà  comunale a tutti gli effetti  la strada che attraversa il paese e renderà provinciale quella nuova…SUL NUMERO IN EDICOLA DA VENERDI’ 21 OTTOBREL'articolo PIARIO – L’apertura della tangenziale? Il sindaco Pietro Visini: “ Speriamo possa essere il regalo di Natale per i nostri concittadini” proviene da Araberara.

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MediaSe vogliamo buttarla in battuta potremmo dire: ”non si trova più una persona che voglia fare il  sindaco, nemmeno a pagarla a pagarlo a peso d’oro…”. Nella realtà dei fatti si registra, negli ultimi anni, un notevole disinteresse verso la cosa pubblica (l’argomento e le motivazioni andrebbero approfondite ma lo faremo magari in altra sede); nell’ultima tornata elettorale, anche in comuni popolosi, si è presentata una sola lista e alcune volte faticosamente “raffazzonata” pure quella. Diciamo che fare l’amministratore pubblico è diventato ormai piu’ un grattacapo che una soddisfazione, arrabattandosi tra le lamentele dei cittadini e la mancanza di risorse per farvi fronte, beghe legali per i motivi piu’ disparati, dall’urbanistica al bambino della materna che si schiaccia il dito nella porta. Deve essere partito da queste considerazioni il Governo Draghi se con la legge di bilancio 2022 (legge 234 del 30/12/2021 art 583 e art 584) ha riparametrato lo stipendio dei sindaci delle città metropolitane e sindaci di regioni a statuto ordinario al trattamento economico dei presidenti di regioni (attualmente 13.800 euro lordi mensili). Uscendo dal “burocratese”, il governo ha deciso di mettere sul piatto un congruo aumento d stipendio a tutti i sindaci, contribuendo in prima persona a finanziare tale spesa ai comuni…SUL NUMERO IN EDICOLA DA VENERDI’ 21 OTTOBREL'articolo BOSSICO – Sindaco e giunta si tagliano le indennità e le donano ai servizi sociali proviene da Araberara.

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Media“Partendo dalla convinzione che nella società di oggi l’immagine diventa sempre di più una necessità estetica, sociale e professionale, nel corso degli anni ho imparato a lavorare sull’immagine completa di una persona: dal make-up all’outfit, dalla silhouette all’accessorio, dall’hairstyle all’approccio psicologico, e così sono diventata una Lookmaker professionale”.
Così Cinzia Coter da Gazzaniga, che dal 2001 ha ereditato l’attività che la nonna Genoveffa aveva fondato nel 1940 e che la mamma Annamaria aveva portato avanti, trasformandola via via in una “Hair Spa” che gestisce con la collaborazione di sei dipendenti: “Il salone ora è un angolo di benessere e di bellezza a 360 gradi dove aiuto i clienti, sia donne che uomini, a capire il loro stile, ad esprimere attraverso l’immagine quello che ognuno sente dentro ma non riesce a comunicare, a sentirsi a proprio agio in ogni momento della vita”.
Un lavoro che Cinzia considera una specie di ‘missione’, come dimostrano l’entusiasmo e la passione che traspaiono dalle sue parole: “Sì, amo molto quello che faccio, mi viene proprio dal cuore questo desiderio, questa volontà non solo di corrispondere ai desideri dei miei clienti, ma spesso anche di prevenirli, facendo tutto quanto è nelle mie possibilità per farli stare bene”.
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MediaSe qualcosa si muove in vista delle prossime elezioni amministrative? Certamente, mi ricandido io perché bisogna pure che qualcuno ci pensi a risvegliare un paese che dorme ormai da dieci anni…”.Giuseppe Imberti, ex-sindaco, non ha mai interrotto il suo forte legame con Casnigo ed ora intende tornare in pista:“Magari non da sindaco, per quello si vedrà più avanti, ma credo sia necessario preparare una lista orientativamente di centro-sinistra, possibilmente con giovani volenterosi che vogliano mettersi alla prova. Tra un mese cominceremo a fare riunioni…SUL NUMERO IN EDICOLA DAL 21 OTTOBREL'articolo CASNIGO – Beppe Imberti torna in pista: “Bisogna svegliare un paese che dorme ormai da dieci anni” proviene da Araberara.

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