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Testata giornalistica iscritta al Tribunale di Bologna nel 8545 del 2020. Informazione senza censura
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⸻ PADOVA 14 Giugno
—— Ore 11.30 / 19.00
—- Prato della Valle

— Manifestazione con corteo

TROPPI SILENZI, TROPPI DANNI, TROPPE VITTIME.

Non possiamo più tacere.
Negli ultimi anni, migliaia di persone in tutto il mondo hanno subito effetti avversi gravi, invalidanti o fatali dopo la somministrazione di vaccini. Famiglie distrutte, vite spezzate, silenzi imposti.
Ogni segnalazione ignorata, ogni voce zittita, è un passo indietro per la verità e la giustizia.

Non siamo contro la scienza. Siamo contro l’omertà.
Siamo contro la censura, l’arroganza del potere, la negazione del dolore vissuto da tante persone reali.

Scendiamo in piazza per chiedere:
• Verità sui dati e sulle sperimentazioni.
• Giustizia per chi ha pagato il prezzo più alto.
• Libertà di scelta, di parola, di cura.

Unisciti a noi. Per chi non può più parlare. Per chi ha ancora il coraggio di farlo.

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#cristianofazzini

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L’Italia industriale: dalla quinta elementare alla quarta potenza mondiale. E oggi?

C’è stato un tempo, neanche troppo lontano, in cui l’Italia risorgeva dalle macerie della Seconda Guerra Mondiale senza lauree, senza MBA, senza manager formati alla Bocconi o in America. Gli operai, gli artigiani, gli imprenditori che hanno costruito la rivoluzione industriale italiana spesso avevano come titolo di studio la quinta elementare. Eppure, con mani sporche di grasso e idee chiare, hanno creato distretti industriali, marchi diventati icone mondiali, prodotti che ancora oggi ci invidiano in tutto il mondo.

Nel 1994, l’Italia era la quarta potenza industriale del pianeta. Dietro a quel traguardo non c’erano algoritmi o fondi speculativi, ma persone che conoscevano il valore del lavoro, della responsabilità e del bene comune. Non c’era bisogno di parlare di “sostenibilità” o “etica aziendale” per giustificare ogni decisione: c’era un’etica implicita, concreta, radicata nella fatica quotidiana.

Oggi, a distanza di decenni, il paradosso è evidente: il sistema industriale italiano è in declino, eppure è guidato da una generazione di laureati a pieni voti. Curriculum impeccabili, conoscenze teoriche raffinate, inglese fluente. E allora viene da chiedersi: che cosa stanno insegnando nelle scuole e nelle università italiane?

Come può essere che con più titoli, più tecnologia, più finanza e più connessioni internazionali, il tessuto produttivo del Paese stia crollando? Che fine ha fatto la manifattura d’eccellenza, l’impresa familiare che investiva nel territorio, l’operaio specializzato che era l’orgoglio della fabbrica?

La risposta è scomoda: è cambiato il modello, non solo economico ma culturale. È scomparsa la morale, il senso del limite, la visione a lungo termine. Al suo posto si è imposta la corsa al profitto immediato, alla delocalizzazione selvaggia, al culto dell’apparenza e dei numeri da mostrare in PowerPoint. Un capitalismo senz’anima che distrugge valore mentre finge di crearlo.

Oggi nelle università si parla di business plan, di start-up, di globalizzazione. Ma chi forma ancora un giovane a prendersi cura di un’impresa, di una comunità, di una storia produttiva? Dove si insegna il rispetto per il lavoro concreto, per il territorio, per le persone?

La verità è che abbiamo smesso di costruire, di inventare, di sporcarci le mani. Abbiamo sostituito la sostanza con la forma, l’identità con la performance. E il risultato è un’Italia che ha smarrito se stessa.

Forse è tempo di tornare a chiedersi non solo quanto hai studiato, ma cosa sai fare, cosa vuoi costruire, e per chi. Perché la vera eccellenza non nasce nei grattacieli della finanza, ma nelle officine, nei laboratori, nelle botteghe. Dove un tempo bastava la quinta elementare per cambiare il mondo.

https://t.me/informazioneitali

#cristianofazzini
Forwarded from 9MQ Web TV (Cristiano Fazzini)
L’Italia industriale: dalla quinta elementare alla quarta potenza mondiale. E oggi?

C’è stato un tempo, neanche troppo lontano, in cui l’Italia risorgeva dalle macerie della Seconda Guerra Mondiale senza lauree, senza MBA, senza manager formati alla Bocconi o in America. Gli operai, gli artigiani, gli imprenditori che hanno costruito la rivoluzione industriale italiana spesso avevano come titolo di studio la quinta elementare. Eppure, con mani sporche di grasso e idee chiare, hanno creato distretti industriali, marchi diventati icone mondiali, prodotti che ancora oggi ci invidiano in tutto il mondo.

Nel 1994, l’Italia era la quarta potenza industriale del pianeta. Dietro a quel traguardo non c’erano algoritmi o fondi speculativi, ma persone che conoscevano il valore del lavoro, della responsabilità e del bene comune. Non c’era bisogno di parlare di “sostenibilità” o “etica aziendale” per giustificare ogni decisione: c’era un’etica implicita, concreta, radicata nella fatica quotidiana.

Oggi, a distanza di decenni, il paradosso è evidente: il sistema industriale italiano è in declino, eppure è guidato da una generazione di laureati a pieni voti. Curriculum impeccabili, conoscenze teoriche raffinate, inglese fluente. E allora viene da chiedersi: che cosa stanno insegnando nelle scuole e nelle università italiane?

Come può essere che con più titoli, più tecnologia, più finanza e più connessioni internazionali, il tessuto produttivo del Paese stia crollando? Che fine ha fatto la manifattura d’eccellenza, l’impresa familiare che investiva nel territorio, l’operaio specializzato che era l’orgoglio della fabbrica?

La risposta è scomoda: è cambiato il modello, non solo economico ma culturale. È scomparsa la morale, il senso del limite, la visione a lungo termine. Al suo posto si è imposta la corsa al profitto immediato, alla delocalizzazione selvaggia, al culto dell’apparenza e dei numeri da mostrare in PowerPoint. Un capitalismo senz’anima che distrugge valore mentre finge di crearlo.

Oggi nelle università si parla di business plan, di start-up, di globalizzazione. Ma chi forma ancora un giovane a prendersi cura di un’impresa, di una comunità, di una storia produttiva? Dove si insegna il rispetto per il lavoro concreto, per il territorio, per le persone?

La verità è che abbiamo smesso di costruire, di inventare, di sporcarci le mani. Abbiamo sostituito la sostanza con la forma, l’identità con la performance. E il risultato è un’Italia che ha smarrito se stessa.

Forse è tempo di tornare a chiedersi non solo quanto hai studiato, ma cosa sai fare, cosa vuoi costruire, e per chi. Perché la vera eccellenza non nasce nei grattacieli della finanza, ma nelle officine, nei laboratori, nelle botteghe. Dove un tempo bastava la quinta elementare per cambiare il mondo.

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