Forwarded from NO PAURA DAY official page
🟥🟥🟥 NON RIUSCIRE A CAPIRE PERCHÉ TANTA VIOLENZA, ODIO E DISUMANITÀ IN PALESTINA DA PARTE DEGLI OCCUPANTI DELLO STATO EBRAICO?
A QUASI 80 DALLA PROCLAMAZIONE UNILATERALE D’ISRAELE E DELLA “NAKBA” DEI PALESTINESI, CONTINUA IL PROGETTO DI PULIZIA ETNICA DEGLI OCCUPANTI EBREI NEI CONFRONTI DEI NATIVI DELLA TERRA SANTA.
L’ESEMPLARE FILM DI SAMANTHA COMIZZOLI, “ISRAELE, IL CANCRO”, CHE VIENE PROIETTATO A CESENA PER LA PRIMA VOLTA, SPIEGA IN MANIERA CHIARA E LINEARE LE RADICI DI TANTO ODIO E DI UN PROGETTO GENOCIDIARIO DI CUI ISRAELE È LO SPIETATO ESECUTORE DAL 1946.
E TUTTO QUESTO NON DI NASCOSTO, MA SOTTO GLI OCCHI DEL MONDO INTERO.
SE NON VI ACCONTENTATE DELLE SPIEGAZIONI MENDACI E OMISSIVE DELLA STAMPA DI REGIME, VI ASPETTIAMO GIOVEDÌ 12 GIUGNO (ORE 20:30), IN VIA GIARDINO 30, A DIEGARO DI CESENA.
NON MANCATE❤️🔥‼️‼️
A QUASI 80 DALLA PROCLAMAZIONE UNILATERALE D’ISRAELE E DELLA “NAKBA” DEI PALESTINESI, CONTINUA IL PROGETTO DI PULIZIA ETNICA DEGLI OCCUPANTI EBREI NEI CONFRONTI DEI NATIVI DELLA TERRA SANTA.
L’ESEMPLARE FILM DI SAMANTHA COMIZZOLI, “ISRAELE, IL CANCRO”, CHE VIENE PROIETTATO A CESENA PER LA PRIMA VOLTA, SPIEGA IN MANIERA CHIARA E LINEARE LE RADICI DI TANTO ODIO E DI UN PROGETTO GENOCIDIARIO DI CUI ISRAELE È LO SPIETATO ESECUTORE DAL 1946.
E TUTTO QUESTO NON DI NASCOSTO, MA SOTTO GLI OCCHI DEL MONDO INTERO.
SE NON VI ACCONTENTATE DELLE SPIEGAZIONI MENDACI E OMISSIVE DELLA STAMPA DI REGIME, VI ASPETTIAMO GIOVEDÌ 12 GIUGNO (ORE 20:30), IN VIA GIARDINO 30, A DIEGARO DI CESENA.
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⚠️ IL FASCISMO ITALIANO NEL PENSIERO DI HANNAH ARENDT
Francesco Centineo
◾️ Hannah Arendt è sempre stata una pensatrice scomoda, indigesta ai più, sopratutto al suo popolo. Hannah Arendt non fu mai un’intellettuale organica al potere ed alle narrazioni dei buoni e dei vincitori.
◾️ Con il suo lavoro di documentazione storica ed analisi politologica e sociologica scandalizzò certamente l’accademia e tutta l’intellighenzia europea difendendo a spada tratta l’Italia, e giustificando, in sostanza, Mussolini; e questo lo fece nonostante l’instaurazione della dittatura fascista, nonostante l’alleanza militare con i nazisti e nonostante la bruttissima parentesi delle leggi razziali.
◾️ Ma come potè una donna ebrea e di così fine intelletto, che si scagliò contro Stalin ed Hitler definendoli dei disumani e sadici criminali, non condannare e non giudicare alla stessa maniera il Mussolini ed il regime fascista?
◾️ Ciò fu possibile perché a differenza di quel che solitamente i politici, i giornalisti, gli storici ed il main stream ci raccontano, il fascismo, secondo la Arendt, non fu mai un totalitarismo, non fu mai nemico né dello Stato né della popolazione italiana, sopratutto, non fu mai ideologicamente accostabile al nazismo e al bolscevismo e, dulcis in fundo, sempre secondo la Arendt, il regime fascista fu il peggior sabotatore della soluzione finale messa in atto da Hitler e dai suoi sodali.
◾️ Nel saggio "La banalità del male" la Arendt documentò che «prima del colpo di Stato Badoglio dell’estate 1943... Prosegue su SFERO
Articolo integrale
🔴 LIBERTÀ E DEMOCRAZIA
👉 Canale Libertà e democrazia
👉 @liberademocrazia
Francesco Centineo
◾️ Hannah Arendt è sempre stata una pensatrice scomoda, indigesta ai più, sopratutto al suo popolo. Hannah Arendt non fu mai un’intellettuale organica al potere ed alle narrazioni dei buoni e dei vincitori.
◾️ Con il suo lavoro di documentazione storica ed analisi politologica e sociologica scandalizzò certamente l’accademia e tutta l’intellighenzia europea difendendo a spada tratta l’Italia, e giustificando, in sostanza, Mussolini; e questo lo fece nonostante l’instaurazione della dittatura fascista, nonostante l’alleanza militare con i nazisti e nonostante la bruttissima parentesi delle leggi razziali.
◾️ Ma come potè una donna ebrea e di così fine intelletto, che si scagliò contro Stalin ed Hitler definendoli dei disumani e sadici criminali, non condannare e non giudicare alla stessa maniera il Mussolini ed il regime fascista?
◾️ Ciò fu possibile perché a differenza di quel che solitamente i politici, i giornalisti, gli storici ed il main stream ci raccontano, il fascismo, secondo la Arendt, non fu mai un totalitarismo, non fu mai nemico né dello Stato né della popolazione italiana, sopratutto, non fu mai ideologicamente accostabile al nazismo e al bolscevismo e, dulcis in fundo, sempre secondo la Arendt, il regime fascista fu il peggior sabotatore della soluzione finale messa in atto da Hitler e dai suoi sodali.
◾️ Nel saggio "La banalità del male" la Arendt documentò che «prima del colpo di Stato Badoglio dell’estate 1943... Prosegue su SFERO
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Sfero
IL FASCISMO ITALIANO NEL PENSIERO DI HANNAH ARENDT · Sfero
Hannah Arendt è sempre stata una pensatrice scomoda, indigesta ai più, sopratutto al suo popolo. Hannah Arendt non fu mai un’intellettuale organica al potere ed alle narrazioni dei buoni e dei vincitori, ed anzi, con il suo lavoro di documentazione storica…
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L’Italia industriale: dalla quinta elementare alla quarta potenza mondiale. E oggi?
C’è stato un tempo, neanche troppo lontano, in cui l’Italia risorgeva dalle macerie della Seconda Guerra Mondiale senza lauree, senza MBA, senza manager formati alla Bocconi o in America. Gli operai, gli artigiani, gli imprenditori che hanno costruito la rivoluzione industriale italiana spesso avevano come titolo di studio la quinta elementare. Eppure, con mani sporche di grasso e idee chiare, hanno creato distretti industriali, marchi diventati icone mondiali, prodotti che ancora oggi ci invidiano in tutto il mondo.
Nel 1994, l’Italia era la quarta potenza industriale del pianeta. Dietro a quel traguardo non c’erano algoritmi o fondi speculativi, ma persone che conoscevano il valore del lavoro, della responsabilità e del bene comune. Non c’era bisogno di parlare di “sostenibilità” o “etica aziendale” per giustificare ogni decisione: c’era un’etica implicita, concreta, radicata nella fatica quotidiana.
Oggi, a distanza di decenni, il paradosso è evidente: il sistema industriale italiano è in declino, eppure è guidato da una generazione di laureati a pieni voti. Curriculum impeccabili, conoscenze teoriche raffinate, inglese fluente. E allora viene da chiedersi: che cosa stanno insegnando nelle scuole e nelle università italiane?
Come può essere che con più titoli, più tecnologia, più finanza e più connessioni internazionali, il tessuto produttivo del Paese stia crollando? Che fine ha fatto la manifattura d’eccellenza, l’impresa familiare che investiva nel territorio, l’operaio specializzato che era l’orgoglio della fabbrica?
La risposta è scomoda: è cambiato il modello, non solo economico ma culturale. È scomparsa la morale, il senso del limite, la visione a lungo termine. Al suo posto si è imposta la corsa al profitto immediato, alla delocalizzazione selvaggia, al culto dell’apparenza e dei numeri da mostrare in PowerPoint. Un capitalismo senz’anima che distrugge valore mentre finge di crearlo.
Oggi nelle università si parla di business plan, di start-up, di globalizzazione. Ma chi forma ancora un giovane a prendersi cura di un’impresa, di una comunità, di una storia produttiva? Dove si insegna il rispetto per il lavoro concreto, per il territorio, per le persone?
La verità è che abbiamo smesso di costruire, di inventare, di sporcarci le mani. Abbiamo sostituito la sostanza con la forma, l’identità con la performance. E il risultato è un’Italia che ha smarrito se stessa.
Forse è tempo di tornare a chiedersi non solo quanto hai studiato, ma cosa sai fare, cosa vuoi costruire, e per chi. Perché la vera eccellenza non nasce nei grattacieli della finanza, ma nelle officine, nei laboratori, nelle botteghe. Dove un tempo bastava la quinta elementare per cambiare il mondo.
https://t.me/informazioneitali
#cristianofazzini
C’è stato un tempo, neanche troppo lontano, in cui l’Italia risorgeva dalle macerie della Seconda Guerra Mondiale senza lauree, senza MBA, senza manager formati alla Bocconi o in America. Gli operai, gli artigiani, gli imprenditori che hanno costruito la rivoluzione industriale italiana spesso avevano come titolo di studio la quinta elementare. Eppure, con mani sporche di grasso e idee chiare, hanno creato distretti industriali, marchi diventati icone mondiali, prodotti che ancora oggi ci invidiano in tutto il mondo.
Nel 1994, l’Italia era la quarta potenza industriale del pianeta. Dietro a quel traguardo non c’erano algoritmi o fondi speculativi, ma persone che conoscevano il valore del lavoro, della responsabilità e del bene comune. Non c’era bisogno di parlare di “sostenibilità” o “etica aziendale” per giustificare ogni decisione: c’era un’etica implicita, concreta, radicata nella fatica quotidiana.
Oggi, a distanza di decenni, il paradosso è evidente: il sistema industriale italiano è in declino, eppure è guidato da una generazione di laureati a pieni voti. Curriculum impeccabili, conoscenze teoriche raffinate, inglese fluente. E allora viene da chiedersi: che cosa stanno insegnando nelle scuole e nelle università italiane?
Come può essere che con più titoli, più tecnologia, più finanza e più connessioni internazionali, il tessuto produttivo del Paese stia crollando? Che fine ha fatto la manifattura d’eccellenza, l’impresa familiare che investiva nel territorio, l’operaio specializzato che era l’orgoglio della fabbrica?
La risposta è scomoda: è cambiato il modello, non solo economico ma culturale. È scomparsa la morale, il senso del limite, la visione a lungo termine. Al suo posto si è imposta la corsa al profitto immediato, alla delocalizzazione selvaggia, al culto dell’apparenza e dei numeri da mostrare in PowerPoint. Un capitalismo senz’anima che distrugge valore mentre finge di crearlo.
Oggi nelle università si parla di business plan, di start-up, di globalizzazione. Ma chi forma ancora un giovane a prendersi cura di un’impresa, di una comunità, di una storia produttiva? Dove si insegna il rispetto per il lavoro concreto, per il territorio, per le persone?
La verità è che abbiamo smesso di costruire, di inventare, di sporcarci le mani. Abbiamo sostituito la sostanza con la forma, l’identità con la performance. E il risultato è un’Italia che ha smarrito se stessa.
Forse è tempo di tornare a chiedersi non solo quanto hai studiato, ma cosa sai fare, cosa vuoi costruire, e per chi. Perché la vera eccellenza non nasce nei grattacieli della finanza, ma nelle officine, nei laboratori, nelle botteghe. Dove un tempo bastava la quinta elementare per cambiare il mondo.
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Forwarded from Giulietto Chiesa Real
LA RUSSIA INIZIA A PUBBLICARE I NOMI DEI SOLDATI UCRAINI MORTI
Le autorità russe hanno reso noti i nomi di quasi 100 soldati ucraini uccisi, parte di oltre 6.000 corpi che Mosca ha offerto di restituire a Kiev come gesto umanitario unilaterale, nell’ultimo round di colloqui diretti a Istanbul.
Il governatore della regione russa di Zaporozhye, Evgeny Balitsky, ha pubblicato sabato sera le prime sei pagine con 97 nomi, documenti e luoghi di morte. Secondo lui, Kiev avrebbe rifiutato di accogliere le salme dei propri caduti. “Iniziamo a pubblicare le liste per permettere ai familiari di ritrovare i loro morti”, ha scritto. “Sappiamo che Kiev possiede questi dati, ma li nasconde deliberatamente.”
Durante i colloqui di Istanbul è stato concordato lo scambio di almeno 1.000 prigionieri, inclusi malati gravi e giovani detenuti. Mosca ha inoltre offerto la restituzione di oltre 6.000 caduti ucraini per una sepoltura dignitosa.
Il primo convoglio, con i resti di 1.212 soldati, è arrivato sabato al punto di scambio designato, ma la parte ucraina non si è presentata, secondo il generale Alexander Zorin, membro del team negoziale russo. Anche il capo negoziatore russo Vladimir Medinsky ha confermato che Kiev ha ricevuto l’elenco di 640 prigionieri ma non ha rispettato gli accordi.
Kiev ha negato le accuse, dichiarando che lo scambio è solo rinviato e che entrambe le parti si stanno preparando. Tuttavia, i media ucraini parlano di un rinvio alla prossima settimana senza data certa.
Balitsky ha accusato le autorità ucraine di ostacolare volutamente il recupero dei corpi per nascondere l’entità delle perdite e risparmiare sulle indennità ai familiari. “Finché un soldato risulta disperso, la famiglia non riceve un solo hryvnia di aiuto”, ha dichiarato.
Secondo il governatore, il rifiuto fa parte di un modello più ampio di violazioni da parte di Kiev, che non rispetterebbe gli accordi e sarebbe sostenuta dall’Occidente nella prosecuzione del conflitto.
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Le autorità russe hanno reso noti i nomi di quasi 100 soldati ucraini uccisi, parte di oltre 6.000 corpi che Mosca ha offerto di restituire a Kiev come gesto umanitario unilaterale, nell’ultimo round di colloqui diretti a Istanbul.
Il governatore della regione russa di Zaporozhye, Evgeny Balitsky, ha pubblicato sabato sera le prime sei pagine con 97 nomi, documenti e luoghi di morte. Secondo lui, Kiev avrebbe rifiutato di accogliere le salme dei propri caduti. “Iniziamo a pubblicare le liste per permettere ai familiari di ritrovare i loro morti”, ha scritto. “Sappiamo che Kiev possiede questi dati, ma li nasconde deliberatamente.”
Durante i colloqui di Istanbul è stato concordato lo scambio di almeno 1.000 prigionieri, inclusi malati gravi e giovani detenuti. Mosca ha inoltre offerto la restituzione di oltre 6.000 caduti ucraini per una sepoltura dignitosa.
Il primo convoglio, con i resti di 1.212 soldati, è arrivato sabato al punto di scambio designato, ma la parte ucraina non si è presentata, secondo il generale Alexander Zorin, membro del team negoziale russo. Anche il capo negoziatore russo Vladimir Medinsky ha confermato che Kiev ha ricevuto l’elenco di 640 prigionieri ma non ha rispettato gli accordi.
Kiev ha negato le accuse, dichiarando che lo scambio è solo rinviato e che entrambe le parti si stanno preparando. Tuttavia, i media ucraini parlano di un rinvio alla prossima settimana senza data certa.
Balitsky ha accusato le autorità ucraine di ostacolare volutamente il recupero dei corpi per nascondere l’entità delle perdite e risparmiare sulle indennità ai familiari. “Finché un soldato risulta disperso, la famiglia non riceve un solo hryvnia di aiuto”, ha dichiarato.
Secondo il governatore, il rifiuto fa parte di un modello più ampio di violazioni da parte di Kiev, che non rispetterebbe gli accordi e sarebbe sostenuta dall’Occidente nella prosecuzione del conflitto.
Per acquistare i libri di Giulietto Chiesa:
www.giuliettochiesareal.com
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https://www.9mq.it/2024/08/02/legge-119-2017-sostanze-pericolose-nei-vaccini-pediatrici-obbligatori/
*Legge 119/2017: Sostanze pericolose nei vaccini pediatrici obbligatori*
Non esistono dubbi riguardo alla presenza di sostanze pericolose nei vaccini pediatrici e la loro stretta correlazione con gravi effetti collaterali. Una nauseante dottrina, imposta con inammissibile violenza, rappresenta i vaccini come innocui, utili ed efficaci, denigrando chiunque possa dubitarne...
*Legge 119/2017: Sostanze pericolose nei vaccini pediatrici obbligatori*
Non esistono dubbi riguardo alla presenza di sostanze pericolose nei vaccini pediatrici e la loro stretta correlazione con gravi effetti collaterali. Una nauseante dottrina, imposta con inammissibile violenza, rappresenta i vaccini come innocui, utili ed efficaci, denigrando chiunque possa dubitarne...
9MQ WEB TV | UN PICCOLO SPAZIO PER GRANDI CONTENUTI
Sostanze pericolose nei vaccini pediatrici | 9MQ WEB TV
Non esistono dubbi riguardo la presenza di sostanze pericolose nei vaccini pediatrici obbligatori e la loro stretta correlazione con gravi effetti collaterali.
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Forwarded from Canale CBN
In questo numero di giugno, abbiamo deciso di dedicare la nostra attenzione ai classici della letteratura, in particolare al romanziere visionario JELES VERNE che ha condizionato la scienza con le sue intuizioni . Cosa aspetti? Unisciti a noi e immergiti nel mondo dei libri! Clicca su questo link per leggere il nuovo numero:
https://www.9mq.it/libri-che-passione/
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Forwarded from 9MQ Web TV (Cristiano Fazzini)
L’Italia industriale: dalla quinta elementare alla quarta potenza mondiale. E oggi?
C’è stato un tempo, neanche troppo lontano, in cui l’Italia risorgeva dalle macerie della Seconda Guerra Mondiale senza lauree, senza MBA, senza manager formati alla Bocconi o in America. Gli operai, gli artigiani, gli imprenditori che hanno costruito la rivoluzione industriale italiana spesso avevano come titolo di studio la quinta elementare. Eppure, con mani sporche di grasso e idee chiare, hanno creato distretti industriali, marchi diventati icone mondiali, prodotti che ancora oggi ci invidiano in tutto il mondo.
Nel 1994, l’Italia era la quarta potenza industriale del pianeta. Dietro a quel traguardo non c’erano algoritmi o fondi speculativi, ma persone che conoscevano il valore del lavoro, della responsabilità e del bene comune. Non c’era bisogno di parlare di “sostenibilità” o “etica aziendale” per giustificare ogni decisione: c’era un’etica implicita, concreta, radicata nella fatica quotidiana.
Oggi, a distanza di decenni, il paradosso è evidente: il sistema industriale italiano è in declino, eppure è guidato da una generazione di laureati a pieni voti. Curriculum impeccabili, conoscenze teoriche raffinate, inglese fluente. E allora viene da chiedersi: che cosa stanno insegnando nelle scuole e nelle università italiane?
Come può essere che con più titoli, più tecnologia, più finanza e più connessioni internazionali, il tessuto produttivo del Paese stia crollando? Che fine ha fatto la manifattura d’eccellenza, l’impresa familiare che investiva nel territorio, l’operaio specializzato che era l’orgoglio della fabbrica?
La risposta è scomoda: è cambiato il modello, non solo economico ma culturale. È scomparsa la morale, il senso del limite, la visione a lungo termine. Al suo posto si è imposta la corsa al profitto immediato, alla delocalizzazione selvaggia, al culto dell’apparenza e dei numeri da mostrare in PowerPoint. Un capitalismo senz’anima che distrugge valore mentre finge di crearlo.
Oggi nelle università si parla di business plan, di start-up, di globalizzazione. Ma chi forma ancora un giovane a prendersi cura di un’impresa, di una comunità, di una storia produttiva? Dove si insegna il rispetto per il lavoro concreto, per il territorio, per le persone?
La verità è che abbiamo smesso di costruire, di inventare, di sporcarci le mani. Abbiamo sostituito la sostanza con la forma, l’identità con la performance. E il risultato è un’Italia che ha smarrito se stessa.
Forse è tempo di tornare a chiedersi non solo quanto hai studiato, ma cosa sai fare, cosa vuoi costruire, e per chi. Perché la vera eccellenza non nasce nei grattacieli della finanza, ma nelle officine, nei laboratori, nelle botteghe. Dove un tempo bastava la quinta elementare per cambiare il mondo.
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C’è stato un tempo, neanche troppo lontano, in cui l’Italia risorgeva dalle macerie della Seconda Guerra Mondiale senza lauree, senza MBA, senza manager formati alla Bocconi o in America. Gli operai, gli artigiani, gli imprenditori che hanno costruito la rivoluzione industriale italiana spesso avevano come titolo di studio la quinta elementare. Eppure, con mani sporche di grasso e idee chiare, hanno creato distretti industriali, marchi diventati icone mondiali, prodotti che ancora oggi ci invidiano in tutto il mondo.
Nel 1994, l’Italia era la quarta potenza industriale del pianeta. Dietro a quel traguardo non c’erano algoritmi o fondi speculativi, ma persone che conoscevano il valore del lavoro, della responsabilità e del bene comune. Non c’era bisogno di parlare di “sostenibilità” o “etica aziendale” per giustificare ogni decisione: c’era un’etica implicita, concreta, radicata nella fatica quotidiana.
Oggi, a distanza di decenni, il paradosso è evidente: il sistema industriale italiano è in declino, eppure è guidato da una generazione di laureati a pieni voti. Curriculum impeccabili, conoscenze teoriche raffinate, inglese fluente. E allora viene da chiedersi: che cosa stanno insegnando nelle scuole e nelle università italiane?
Come può essere che con più titoli, più tecnologia, più finanza e più connessioni internazionali, il tessuto produttivo del Paese stia crollando? Che fine ha fatto la manifattura d’eccellenza, l’impresa familiare che investiva nel territorio, l’operaio specializzato che era l’orgoglio della fabbrica?
La risposta è scomoda: è cambiato il modello, non solo economico ma culturale. È scomparsa la morale, il senso del limite, la visione a lungo termine. Al suo posto si è imposta la corsa al profitto immediato, alla delocalizzazione selvaggia, al culto dell’apparenza e dei numeri da mostrare in PowerPoint. Un capitalismo senz’anima che distrugge valore mentre finge di crearlo.
Oggi nelle università si parla di business plan, di start-up, di globalizzazione. Ma chi forma ancora un giovane a prendersi cura di un’impresa, di una comunità, di una storia produttiva? Dove si insegna il rispetto per il lavoro concreto, per il territorio, per le persone?
La verità è che abbiamo smesso di costruire, di inventare, di sporcarci le mani. Abbiamo sostituito la sostanza con la forma, l’identità con la performance. E il risultato è un’Italia che ha smarrito se stessa.
Forse è tempo di tornare a chiedersi non solo quanto hai studiato, ma cosa sai fare, cosa vuoi costruire, e per chi. Perché la vera eccellenza non nasce nei grattacieli della finanza, ma nelle officine, nei laboratori, nelle botteghe. Dove un tempo bastava la quinta elementare per cambiare il mondo.
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LA RUSSIA INIZIA A PUBBLICARE I NOMI DEI SOLDATI UCRAINI MORTI
Le autorità russe hanno reso noti i nomi di quasi 100 soldati ucraini uccisi, parte di oltre 6.000 corpi che Mosca ha offerto di restituire a Kiev come gesto umanitario unilaterale, nell’ultimo round di colloqui diretti a Istanbul.
Il governatore della regione russa di Zaporozhye, Evgeny Balitsky, ha pubblicato sabato sera le prime sei pagine con 97 nomi, documenti e luoghi di morte. Secondo lui, Kiev avrebbe rifiutato di accogliere le salme dei propri caduti. “Iniziamo a pubblicare le liste per permettere ai familiari di ritrovare i loro morti”, ha scritto. “Sappiamo che Kiev possiede questi dati, ma li nasconde deliberatamente.”
Durante i colloqui di Istanbul è stato concordato lo scambio di almeno 1.000 prigionieri, inclusi malati gravi e giovani detenuti. Mosca ha inoltre offerto la restituzione di oltre 6.000 caduti ucraini per una sepoltura dignitosa.
Il primo convoglio, con i resti di 1.212 soldati, è arrivato sabato al punto di scambio designato, ma la parte ucraina non si è presentata, secondo il generale Alexander Zorin, membro del team negoziale russo. Anche il capo negoziatore russo Vladimir Medinsky ha confermato che Kiev ha ricevuto l’elenco di 640 prigionieri ma non ha rispettato gli accordi.
Kiev ha negato le accuse, dichiarando che lo scambio è solo rinviato e che entrambe le parti si stanno preparando. Tuttavia, i media ucraini parlano di un rinvio alla prossima settimana senza data certa.
Balitsky ha accusato le autorità ucraine di ostacolare volutamente il recupero dei corpi per nascondere l’entità delle perdite e risparmiare sulle indennità ai familiari. “Finché un soldato risulta disperso, la famiglia non riceve un solo hryvnia di aiuto”, ha dichiarato.
Secondo il governatore, il rifiuto fa parte di un modello più ampio di violazioni da parte di Kiev, che non rispetterebbe gli accordi e sarebbe sostenuta dall’Occidente nella prosecuzione del conflitto.
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Le autorità russe hanno reso noti i nomi di quasi 100 soldati ucraini uccisi, parte di oltre 6.000 corpi che Mosca ha offerto di restituire a Kiev come gesto umanitario unilaterale, nell’ultimo round di colloqui diretti a Istanbul.
Il governatore della regione russa di Zaporozhye, Evgeny Balitsky, ha pubblicato sabato sera le prime sei pagine con 97 nomi, documenti e luoghi di morte. Secondo lui, Kiev avrebbe rifiutato di accogliere le salme dei propri caduti. “Iniziamo a pubblicare le liste per permettere ai familiari di ritrovare i loro morti”, ha scritto. “Sappiamo che Kiev possiede questi dati, ma li nasconde deliberatamente.”
Durante i colloqui di Istanbul è stato concordato lo scambio di almeno 1.000 prigionieri, inclusi malati gravi e giovani detenuti. Mosca ha inoltre offerto la restituzione di oltre 6.000 caduti ucraini per una sepoltura dignitosa.
Il primo convoglio, con i resti di 1.212 soldati, è arrivato sabato al punto di scambio designato, ma la parte ucraina non si è presentata, secondo il generale Alexander Zorin, membro del team negoziale russo. Anche il capo negoziatore russo Vladimir Medinsky ha confermato che Kiev ha ricevuto l’elenco di 640 prigionieri ma non ha rispettato gli accordi.
Kiev ha negato le accuse, dichiarando che lo scambio è solo rinviato e che entrambe le parti si stanno preparando. Tuttavia, i media ucraini parlano di un rinvio alla prossima settimana senza data certa.
Balitsky ha accusato le autorità ucraine di ostacolare volutamente il recupero dei corpi per nascondere l’entità delle perdite e risparmiare sulle indennità ai familiari. “Finché un soldato risulta disperso, la famiglia non riceve un solo hryvnia di aiuto”, ha dichiarato.
Secondo il governatore, il rifiuto fa parte di un modello più ampio di violazioni da parte di Kiev, che non rispetterebbe gli accordi e sarebbe sostenuta dall’Occidente nella prosecuzione del conflitto.
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